sabato 11 giugno 2011

Tree of Men - Candace Pert







Candace Pert (26 giugno 1946)

CANDACE PERT è una neuroscienziata che con le sue ricerche pionieristiche ha cambiato il modo di vedere la relazione fra la mente ed il corpo. Ancora studentessa alla Johns Hopkins University, ha individuato il recettore oppiaceo, il sito molecolare all’interno del quale le droghe derivate dall’oppio, come la morfina e l’eroina, si legano alle cellule nervose del cervello umano. Molti sostengono che per questa scoperta, una delle più importanti nella storia delle neuroscienze, Candace Pert avrebbe dovuto vincere il premio Nobel, ma che questioni politiche abbiano impedito che le venisse assegnato il giusto riconoscimento.
Candace Pert ha conseguito il dottorato in farmacologia alla Johns Hopkins University School of Medicine ed ha condotto ricerche presso il National Institute of Health. Attualmente è ricercatrice presso il dipartimento di fisiologia e biofisica del Georgetown University Medical Center di Washington, dove si occupa di ricerche sull’AIDS. È autrice di numerosi contributi scientifici e del libro Molecole di emozioni: il perché delle emozioni che proviamo (Corbaccio, 2000), che offre una personale ed acuta interpretazione delle neuroscienze e della medicina.
Notizie sul suo lavoro si possono leggere nel sito www.candacepert.com.


D – Perché, secondo lei, è così difficile far accettare nuove idee in ambito scientifico?
R – Domanda interessante, ci pensavo giusto l’altro giorno. La risposta ingenua sarebbe: «Va benissimo così, perché altrimenti dilagherebbero un sacco di sciocchezze. Sono questioni delicate, le cose vanno testate e bla bla bla». In realtà credo che sia un atteggiamento proprio della natura umana. Anche a me è capitato. La gente crede solo nelle proprie verità: se non vede non crede. Insomma, c’è una specie di invidia nei confronti delle nuove idee. La riluttanza ad accettarle fa parte della cultura scientifica, anche se è un errore. Significa perlomeno una battuta d’arresto. Dobbiamo accettare le idee gradualmente, una a una, dopo averle verificate. Certo, esistono le teoria di Thomas Kuhn sui cambiamenti di paradigma, e via dicendo, ma sappiamo che le cose non funzionano veramente in questo modo, che tendono ad essere più rivoluzionarie. Quindi non saprei. Almeno, così è per quello che mi interessa di più in questo momento, la neurogenesi. Sa di cosa si tratta?
D – È la nascita di nuove cellule cerebrali.
R – Esatto, e si tratta di un’idea duplice, una più stupefacente dell’altra. La prima è che generiamo ogni giorno nuovi neuroni nel nostro cervello, l’altra è che le cellule staminali si originano normalmente nel midollo spinale, si spostano attraverso il sangue e poi finiscono nel cervello come neuroni.
D – Il che contro tutto quello che mi hanno detto a scuola! I miei professori di psicobiologia mi hanno insegnato che abbiamo un numero limitato di neuroni, che muoiono lentamente con l’invecchiamento senza essere in grado di rigenerarsi. Così, va a finire che ne abbiamo sempre meno e le nostre capacità cognitive vanno sempre peggiorando.
R – Esattamente. Pensiamo a tutte le battaglie che hanno combattuto gli scienziati per far accettare una posizione simile. Alla fine si è arrivati ad una curiosa posizione di stallo. Dopo tante lotte, la neurogenesi è accettata per vera, ma le persone che hanno condotto tali studi hanno dovuto superare un centinaio di esperimenti attentamente controllati per respingere ogni possibile accusa di falsità. Ora è un dato di fatto, ma per lungo tempo non è stato così. Due miei colleghi di vecchia data, due tipi davvero in gamba, grandi scienziati, hanno sottovalutato fin dal principio l’importanza biologica di questa scoperta. Ammettevano che si trattasse di neuroni, com’era stato provato, e che ogni giorno se ne generassero molti, ma sostenevano che non avevamo prove per dire che il fenomeno fosse importante; semplicemente la cosa non c’entrava nulla con il resto. Ancora oggi non hanno cambiato idea.
D – Non ho parole! Secondo loro la scoperta di produzione di nuovo tessuto cerebrale non è importante?
R – Beh! è gente con una visione scientifica molto conservatrice. Sto preparando una lezione da tenere a New York e questo argomento ne sarà la pietra miliare. Parlerò delle implicazione che la scoperta ha sulla mente, il corpo e la salute e di come possiamo servircene. Per esempio, il fatto di pensare in positivo, di scegliere pensieri positivi e sforzarsi di non mettere negatività nelle proprie parole, non è più solo un modo di dire. Ogni volta che ripetiamo qualcosa, rafforziamo un network di neuroni in via di sviluppo. C’è sempre un network nascente che si sta formando, così come c’è una costante nascita e morte di neuroni. A determinare quali vivranno e quali no è la frequenza con la quale vengono utilizzati. Quindi se continuiamo a dire o pensare cose negative di noi stessi, rafforziamo questi circuiti.
D- Crede che la specie umana sopravvivrà nei prossimi cento anni, o pensa che rischiamo l’estinzione?
R – Oh, non so come saranno le cose fra cent’anni, ma certo è che sono molto preoccupata. Si sentono tante ipotesi diverse, ma personalmente credo che in un periodo fra i duecento e i cinquecento anni esauriremo del tutto le scorte di combustibili fossili. Cosa succederà allora, losa solo Dio. Ci si preoccupa tanto della minaccia nucleare, ma io temo di più una prospettiva simile.  Tuttavia, diciamo che sono ottimista. Credo che ci salveremo, ma la gente deve cominciare a stare attenta. Credo che prima dell’estinzione della nostra specie, ci sarà l’estinzione dell’intelligenza avanzata.
A preoccuparmi molto c’è il grave problema del cibo. Insieme ad un gruppo di amici ho comprati una fattoria, con l’idea un po’ folle di trasformarla in un centro culturale, educativo e di ricerca sulla questione del cibo. L’ingegneria genetica non è altro che la punta dell’iceberg. Anzi, non c’entra. Il problema è che il cibo che mangiamo oggi è chimicamente diverso da quello di dieci o vent’anni fa. Se facciamo un elenco delle sostanze chimiche presenti oggi in una mela, e tracciamo un grafico, servono tre pagine; per una mela del passato, cinque pagine. La mela nuova richiede solo tre pagine a causa delle sostanze pesticide ed erbicide, oltre che delle caratteristiche del terreno e dei metodi di coltivazione. Il nostro cibo ha perso tutta una serie di elementi. Il problema non sono solo i veleni, le tossine, l’inquinamento. Mancano delle sostanze. Attualmente non troviamo più negli animali acidi grassi essenziali di cui abbiamo bisogno, e la gente avveduta, che se lo può permettere, come me, va a comprarsi i necessari omega-3 da aggiungere alla propria dieta.
Ma a lungo andare cosa succederà? Ho cresciuto tre figli, con una differenza d’età di nove anni. Sono convinta che il loro cervello subisca dei cambiamenti che non sono solo culturali, ma che hanno a che vedere con la loro dieta, con ciò che mangiano o non mangiano. È facile pensare ad un inverno nucleare o cose di questo genere. Ma prima ancora, credo che tra una cinquantina d’anni, per come stanno andando le cose, il nostro quoziente intellettivo scenderà sotto a 60, e la gente non se ne accorgerà nemmeno. 



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