(Ray Kurweil, New York, 12 febbraio 1948)
RAY KURZWEIL è uno scienziato informatico, progettista di software, inventore, imprenditore, filosofo. È uno dei massimi esperti dei sistemi di pattern recognition e ha ideato e messo a punto molti prodigiosi dispositivi informatici. È stato il principale sviluppatore di uno dei primi sistemi per il riconoscimento vocale e dei caratteri, del primo dispositivo di lettura print-to-speech per non vedenti, del primo scanner piano CCD, del primo sintetizzatore vocale, del primo sintetizzatore musicale in grado di riprodurre il pianoforte e altri strumenti d’orchestra. Ha fondato e portato al successo nove aziende che si occupano di riconoscimento vocale, tecnologie di lettura, strumenti musicali elettronici, realtà virtuale, simulazione medica, arte cibernetica, investimenti finanziari. Dal 2002 fa parte dell’americana National Inventors Hall of Fame. È stato insignito del premio Lemelson-MIT, il più prestigioso negli Stati Uniti per le invenzioni e l’innovazione; della National Medal of Technology, che gli è stata consegnata dal presidente Clinton, nel 1999, in una cerimonia alla Casa Bianca; di dodici lauree
honoris causa; di vari riconoscimenti di tre presidenti americani. Ha anche scritto alcuni libri sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale, tra i quali
The Age of Intelligent Machine e
The Age of Spiritual Machine.
Notizie sulle sue attività si possono trovare nel sito www.kurzweiltech.com
Dopo molti anni seguendo le tendenze dell'industria dei computer, Kurzweil ebbe un'illuminazione: il ritmo di innovazione dei computer non stava aumentando linearmente bensì esponenzialmente. Partendo da qui, sviluppò un metodo di previsione dell'andamento dello sviluppo tecnologico. Da scienziato dei computer, Kurzweil comprese inoltre come non vi siano ragioni tecniche per cui questo tipo di rapporto costi/prestazioni non possa proseguire anche durante il XXI secolo.
Poiché la crescita in tanti campi della scienza e della tecnologia dipende dalla capacità di calcolo, gli incrementi di questa si traducono in incrementi della conoscenza umana e di scienze non basate sui computer come le nanotecnologie, le biotecnologie e la scienza dei materiali. Considerando la corrente crescita esponenziale delle capacità dei computer, ciò significa che molte nuove tecnologie si renderanno disponibili molto prima di quanto la maggior parte delle persone - che intuitivamente pensano al progresso tecnologico in modo lineare —si aspettino. Quest'idea centrale è espressa nella legge di Kurzweil dei Ritorni Accelerati ("Law of Accelerating Returns").
D – Quali crede che siano le potenzialità delle nuove tecnologie, come gli impianti neuronali, in grado di accrescere le capacità della mente umana?
R – Se ci domandiamo cos’è un essere umano, credo che la risposta sia nella caratteristica fondamentale degli uomini: cercare di espandere gli orizzonti. L’evoluzione biologica, che ci definisce come una nicchia particolare, non solo è limitata, ma proprio non è in grado di spiegare cosa sono gli esseri umani. Appaiono nuove potenzialità, che a loro volta permettono passaggi successivi. A un certo punto, l’evoluzione biologica ha creato una specie tecnologica, e da allora il fattore chiave è diventato lo sviluppo culturale e tecnologico. Non siamo rimasti con i piedi per terra. Non siamo rimasti sul pianeta. Non ci fermiamo entro i limiti della nostra biologia e, per mezzo delle nostre capacità tecnologiche, abbiamo già esteso di molti le capacità dei nostri corpi e delle nostre menti.
L’era degli impianti neuronali, una tecnologia davvero rivoluzionaria, è cominciata. Ci sono già alcune persone che in realtà sono dei cyborg. I neuroni biologici del loro cervello sono connessi ai computer, e in tale sistema l’elettronica funziona perfettamente accanto a fianco del circuito elettrico biologico. Abbiamo cominciato a servirci di questi innesti per migliorare certe condizioni patologiche e alleviare alcune disabilità. Per esempio, abbiamo innesti cocleari per i non udenti e dispositivi per stimolazioni cerebrali a livello profondo per malati di Parkinson. Nelle prime dimostrazioni il dottor Alim Benebid cominciava l’esame dei malati tenendo il dispositivo spento. Poteva accenderlo o spegnerlo all’insaputa del paziente. Si trattava di persone in una fase avanzata di Parkinson, con facoltà motorie ormai molto irrigidite. Quando Benebid accendeva il dispositivo, sembravano rianimarsi; all’improvviso riuscivano a muoversi e a comportarsi in maniera normale. Il dispositivo è stato riconosciuto dalla Food and Drug Administration e al momento oggi è oggetto di studio per la cura di altri problemi neurologici.
Gli innesti alla retina sono in fase di preparazione, ed esistono impianti sperimentali per una vasta gamma di altri casi. Allo stato attuale delle cose gli innesti neuronali hanno due limitazioni. Una è che devono essere impiantati chirurgicamente, quindi ce ne serviamo solo per casi gravi, come appunto per una fase avanzata di Parkinson. La seconda è che possono avere collocazioni solo in pochissimi punti,, in genere solamente uno.
Tuttavia, queste limitazioni saranno superate quando potremo far uso su vasta scala delle nanotecnologie, in particolare quando avremo dei nanorobot – robot grandi quanto le cellule ematiche – in grado di entrare nei capillari e nel cervello in maniera non invasiva. Non è così futuristico come sembra. Ci sono già quattro importanti iniziative sui cosiddetti Bio-MEMS [Biological Micro-Electronic Mechanical Systems], organizzate per sviluppare la prima generazione di apparecchi in gradi di entrare nel circolo ematico, per un’ampia gamma di scopi diagnosticie terapeutici.
Per esempio, una cosa veramente utile è un dispositivo con pori del diametro di sette manometri. Si tratta di una piccola capsula che rilascia insulina e blocca gli anticorpi. È usata per curare casi di diabete di tipo 1 nei ratti. Dato che il meccanismo del diabete di tipo 1 è lo stesso bei ratti e negli esseri umani, è logico pensare che l’apparecchio, una volta perfezionato, possa funzionare anche negli esseri umani.
Siamo solo alla prima generazione. Credo sia importante capire – e pochissimi ne sembrano in grado – che queste tecnologie stanno crescendo in maniera non lineare, addirittura esponenziale. Non solo il loro potenziale, a conti fatti, raddoppia da un anno all’altro; stiamo anche moltiplicando la velocità dei passi in avanti, di decennio in decennio. Si tratta di un particolare da non sottovalutare. Se consideriamo la crescita esponenziale nell’informatica e la riduzione esponenziale delle dimensioni nella tecnologia, vediamo che i congegni elettronici e meccanici si rimpiccioliscono ad un tasso del 5,6 per dimensione lineare al decennio. Pensiamo alla crescita esponenziale delle tecnologie della comunicazione.
C’è una crescita esponenziale anche nella comprensione del cervello umano, che stiamo sottoponendo ad un processo di riverse-engineering per capire come funzina. Otteniamo informazioni sempre più dettagliate, di anno in anno stiamo moltiplicando la quantità delle conoscenze. Entro la fine degli anni Venti del secolo avremo un quadro molto dettagliato del funzionamento del cervello umano. Avremo a nostra disposizione congegni automatici grandi come cellule ematiche, dotati di una notevole intelligenza, in grado di comunicare gli uni con gli altri e con i nostri neuroni biologici.
Saremo in grado di immettere milioni, o miliardi, di nanorobot all’interno del circolo ematico, tramite iniezione o ingestione, e questi raggiungeranno il cervello attraverso i capillari, senza che ci sia bisogno di interventi chirurgici. Dato che i capillari irrorano ogni parte del cervello, i nanorobot potranno distribuirsi dappertutto, e la limitazione di cui parlavamo prima, quella di poterli collocare in un punto soltanto, sarà superata. Comunicando tra loro, saranno connessi tramite una rete locale senza fili, che potrà comunicare con internet, che a sua volta comunicherà in maniera non invasiva con i nostri neuroni. Tutte queste possibilità sono già state dimostrate su piccola scala. Non possiamo ancora costruire congegni così minuscoli, tanto da poterne mandare miliardi all’interno del circolo ematico. Ma questo è uno scenario del tutto prevedibile secondo quella che chiamo “legge dei ritorni accellerati”, vale a dire la riduzione velocissima delle dimensioni di queste tecnologie rispetto alla crescita esponenziale delle capacità informatiche che le supportano.
Si aprono così molti scenari. Per esempio, potremo avere una realtà virtuale su scala totale, nella quale i nanorobot saranno in grado di interrompere i segnali provenienti dai nostri sensi e sostituirli con altri. Il cervello verrebbe a trovarsi veramente in un ambiente virtuale, le cui condizioni sarebbero tanto convincenti quanto quelle dell’ambiente reale. Sarà possibile entrare in simili ambienti virtuali, da soli o con altri, e vivere ogni tipo di esperienza. Avremo riproduzioni realistiche di ambientazioni terrestri, e potremo, per esempio, fare una passeggiata in compagnia di qualcuno su una spiaggia mediterranea. Masi progetteranno anche ambienti fantastici e immaginari, che non esistono, né potrebbero esistere sulla Terra, magari svincolati dalle leggi della fisica. Costruire nuovi ambienti, come si fa adesso con gli scenari dei videogiochi, diventerà una nuova forma di espressione artistica. Sarà possibile coinvolgervi tutti e cinque i sensi e quindi avere anche i corrispondenti neurologici delle nostre emozioni.
Un’altra applicazione, più significativa, riguarderebbe l’estensione delle capacità cognitive dell’uomo. il nostro cervello, anche se si riorganizza in continuazione e costituisce sempre nuove connessioni, ha una struttura fissa. Questa riorganizzazione è fondamentale nel nostro modo di apprendere, e usare il cervello è il modo migliore per tenerlo in salute. Tuttavia, restiamo pur sempre limitati a una struttura fissa, dell’ordine di un centinaio di trilioni di connessioni. Sembra un numero enorme: in realtà la larghezza di banda del cervello umano è piuttosto limitata. Inoltre, questi collegamenti sono lentissimi. Le trasmissioni elettrochimiche sono leggermente diverse dalle operazioni digitali. Si tratta in effetti di una conduzione analogica su base digitale, con una velocità di duecento operazioni al secondo, circa centomilioni di volte più lenta dei sistemi elettronici odierni, e quasi un miliardo di volte più lenta di quella che si avrebbe con un circuito nanotecnologico. Due centimetri cubici e mezzo di circuiti di questo tipo sarebbero un milione di volte più potenti del centinaio di trilioni di connessioni del cervello umano.
Quindi saremo in grado di ampliare le capacità del cervello umano congiungendolo con sistemi informatici nanotecnologici. Avremo un numero molto più alto di connessioni e potremo farle funzionare più velocemente. Ci collegheremo a forme di intelligenza non biologica, potremo ricevere e trasmettere comunicazioni intracerebrali e “scaricare” conoscenza. È ciò che i computer sono in grado di fare semplicemente condividendo le loro memorie, mentre io non posso trasferire verso di lei la mia conoscenza del francese o del romanzo Guerra e pace. Possiamo comunicare, certo, e condividere informazioni attraverso il linguaggio, che è estremamente lento, ma non possiamo mettere in comune le strutture di neurotrasmettitori e di connessioni intraneuronali, come appunto fanno i computer.
Sono questi gli scenari che potrebbero realizzarsi entro una ventina d’anni. Credo che ben prima del 2029 i computer saranno in grado di passare il test di Turino e di raggiungere livelli di intelligenza umana. Allora potranno associare tali benefici alle capacità che già possiedono, in termini di velocità, memoria, condivisione d’informazioni e così via..